Danza Libera Teatrale

Danza Libera Teatrale
teatro danza

lunedì 28 novembre 2011

"LA FESTA"


Tornavo da un viaggio in Brasile e precisamente, foresta amazzonica. In quel luogo così primordiale, durante la mia permanenza, ho scoperto cose che mai avrei immaginato.Ma spesso il popolo locale mi chiedeva : "com'è la musica tradizionale del tuo paese? Come ballate?". A tali quesiti rimasi spiazzata, io non sapevo nulla della mia terra, delle nostre origini, vivevo in una grande metropoli ed ero ignorante di tutto ciò. Compresi, invece, che loro sapevano tanto pur vivendo in un minuscolo paesino della foresta amazzonica. Al mio ritorno non ho potuto fare a meno di mettermi alla ricerca, in un viaggio infinito, tra un lembo di terra così piccolo, ma pregno di cultura e senso umano.Quel che è il nostro Sud. Scoprii la musica del Sud Italia, in una serata come tutte le altre nella capitale, la cosa mi incuriosì molto, ma compresi che non mi appagava, non soddisfava  la mia neonata voglia di ricerca. Allora mi misi in viaggio.Dovevo andare nei "luoghi" e si può star sicuri che non siamo noi a scegliere i luoghi, ma sono i luoghi a scegliere noi. Venni alla scoperta del luogo della "festa", quel mezzo per cui ci si ritrova, ci si aggrega per un unico fine, dove il culto diventa iniziativa collettiva. Pellegrinaggi e processioni dimensione di culto collettivo, che si sviluppano secondo un tempo ciclico che costituisce lo sfondo dell'organizzazione sociale della comunità. All'interno dell'evento festivo il sacro e il profano si incontrano, diventano aspetti di un'unica esperienza collettiva, dove suonare e ballare rientra nella forma di devozione, come parte importante dei significati del culto stesso. Afferma Bernard Lortat Jacob:
"La musica ha un ruolo importante nella festa,essa costituisce una presenza indispensabile. La prospettiva etnomusicologica ci invita naturalmente ad interrogarci su di una singolare omologia, forse non casuale: se la festa e la musica si riuniscono non è semplicemente perchè si assomigliano. Le feste sono tutta via caratterizzate da proprietà contraddittorie per cui non è facile fornire una definizione univoca, nè coglierne tutti gli aspetti. Esse hanno infatti, una funzione al tempo stesso conservatrice e trasformatrice. Sono il luogo di gesti ritualizzati, ancestrali, reiterati fedelmente ad ogni occasione o una stagione dopo l'altra. Dal nostro punto di vista sono un conservatorio, ovvero un luogo di pratiche musicali e di memorizzazione di queste pratiche. Da un lato esse permettono di tramandare delle tradizioni e costituiscono un campo d'osservazione privilegiato, ma dall'altro inducono una modificazione profonda dei comportamenti e degli atteggiamenti tramite la musica, il cui ascolto partecipe è accompagnato da un radicale cambiamento di stato".

domenica 23 ottobre 2011

Danza Astratta -non imitativa-


La danza astratta non è più legata a quella mimetica a seguire una forma particolare. Ma, nella stragrande maggioranza dei casi, i suoi movimenti sono circolari. Il circolo può essere privo di un punto centrale, ma può anche avere come centro una persona o un oggetto che irraggi il suo potere sui danzatori, ovvero che viceversa riceva il potere emanato da questi. La danza estatica e non imitativa ha il fine magico di raggiungere uno stato di ebbrezza nel quale il danzatore trascende l'umano e il sensibile e, liberato dal suo io, acquisti il potere di partecipare agli eventi che governano il mondo. Il fine specifico, pioggia, salute, vittoria, è pensato solo come un'idea pura, senza trovare un'espressione in una forma di danza. ne risulta almeno agli inizi, una grande monotonia. Che l'oggetto dell'azione magica sia un malato o una fanciulla, nell'età della pubertà o ancora l'animale sacrificale, ciò non comporta alcun mutamento; la danza di guarigione, la danza d'iniziazione e la danza di sacrificio non sono per nulla differenziate. Così presso gli Andamani la danza di chiusura delle cerimonie funebri o quella che precede la partenza per un attacco al nemico, hanno gli stessi caratteri essenziali di quella seguita dopo una caccia fruttuosa. La fine dello sviluppo non differisce dall'inizio. Per le donne della Micronesia tutto ciò che muove la tribù è materia del loro canto: frutta, animali, stella, antenati; e con ogni canto esse eseguono sempre lo stesso lento dondolio (rocking dance). La danza astratta è rimasta uniforme, finchè, privata dai suoi valori sacri, è diventata patrimonio dei fanciulli. Nel girotondo uno di essi appare in un cerchio formato da altri fanciulli e allora, libero da ogni fine utilitaristico, l'antico circolo si snoda nella serena gaiezza della gioia di vivere e di danzare. (Storia della danza,Curt Sachs)

venerdì 7 ottobre 2011

Rilievo con Menadi-Avigliana(To)



Periodo: I secolo d.C.
La notizia della provenienza da Avigliana dei due rilievi con Menadidi cui fa parte questa lastra, noti fin dal Settecento nelle Collezioni sabaude, è tramandata, ma è priva di prove documentarie.
La lastra in marmo rappresenta quattro Menadi, personaggi femminili che seguivano il corteo del diDioniso, colte nell’atto di danzare in preda a esaltazione mistica. Le fanciulle si muovono avvolte in tuniche che aderiscono al corpo e, lasciando intravedere le partiture anatomiche e le braccia nude, terminano con morbidi e ricchipanneggi. Le menadi reggono oggetti simbolici utilizzati durante i riti dionisiaci o legati al culto del dio: il tirso, le fiaccole, le maschere teatrali, i cesti di frutta. L’ultima menade a sinistra regge con la destra un coltello e, con una completa torsione della testa, guarda un leprotto (?) che tiene nella mano sinistra, per un prossimo sacrificioin onore del dio. La lastra, esposta accostata ad una seconda che raffigura altre quatto Menadi, doveva decorare un importante monumento di cui non sono note le caratteristiche.
(fonte museo archeologico piemonte)

Religione Mediterranea-Uberto Pestalozza


«La dèa autonoma, imperiosa, ribelle; la dèa che non ebbe madre né padre ed è nella sua intima essenza madre e nutrice non solo, ma generatrice universa; la dèa che è insieme montagna, acqua, terra gravida dell’umano lavoro, albero, animale, donna; la dèa che senza posa trapassa dall’uno all’altro regno della natura e ne assume tutte le forme; la signora della vita e della morte, della pace e della guerra e però benefica e malefica a un tempo, crudele e lasciva e pur soccorrevole e benigna alle madri in travaglio e ai neonati; il femminino eterno che a fatica si evolve dagli oscuri intrichi delle arboree e ferine promiscuità originarie, non già per affrancarsene ma per farle tutte quante partecipi di una sua umanità e per diventare finalmente nel luminoso aere minoico la vivida espressione della “femminilità del divino””: ecco in poche riassuntive parole la Potnia mediterranea, la Grande Dèa onnipresente, si può dire, in queste pagine, ch’essa nutre e pervade, anche se non vi grandeggi sempre con la soverchiante statura.»

Forse questo paragrafo dal «Preludio» al volume è il modo migliore e più conciso di presentare la ricerca di Uberto Pestalozza come pure il tema multiforme di questa preziosa raccolta di saggi, che tratta, fra l’altro, di Iside e Nut, Thetide ed Hera, la Potnia minoica, Mater Larum e Acca Larentia.

(Uberto Pestalozza, «Religione mediterranea: Vecchi e nuovi studi» (ordinati a cura di Mario Untersteiner e Momolina Marconi), Milano, Bocca, 1951.)

domenica 2 ottobre 2011

Il Parto di Gorgone


dal libro della Gimbutas, "Le Dee viventi", il pezzo che tratta di Medusa e delle Gorgoni:

"La più terribile realizzazione della Gorgone va fatta risalire alle immagini dell'antica Grecia, tra il settimo e il quinto secolo a.C. Alcune di queste immagini, indubbiamente ereditate dal neolitico, accostano al corpo la maschera digrignante e la lingua pendente della Gorgone Medusa, nonchè le ali dell'ape, un simbolo importante di rigenerazione della vita. Le maschere del suo volto paralizzante quasi sempre sono accompagnate da simboli di dinamica energia vitale: tralci di vite, serpenti, spirali e lucertole.
(...)I testi greci riportano la credenza secondo la quale il sangue stillato dai capelli di serpente di Medusa conteneva virtù magiche benigne e maligne. La prima goccia velenosa dai capelli-serpenti di Medusa causava morte istantanea; la seconda, dalle vene di Medusa, provocava rinascita e vita. La goccia mortale del sangue di Medusa può essere considerato un ricordo, trasferito e distorto, del potente sangue mestruale femminile, e la terribile maschera di Medusa probabilmente rifletteva le paure e i tabù relativi alle mestruazioni. Anche in altre culture contemporanee si tramanda il pericolo che giunge dallo sguardo di una donna mestruata, che può mutare un uomo in pietra, o compromettere una partita di caccia." 



Le Gorgoni erano figlie di Ceto e Forcio,un vecchio dio marino (un pò come Nereo,poi soppiantato da Posidone) e sorelle delle tre Graie (tre vecchie con un solo occhio e un solo dente pallide e simili a cigni che sorvegliavano l'accesso alla dimora delle Gorgoni) e ,in alcune versioni,delle tre Esperidi (tre fanciulle che custodivano in un giardino l'albero delle mele d'oro).Tutte e tre le triadi vivevano ad Occiedente del mondo,vicino alla terra dei morti.
Le Gorgoni sono tre,due immortali:Steno "la forte",Euriale "la spaziosa" ; ed una mortale,ovvero Medusa "la dominatrice".
Per altro queste tre triadi sono imparentate con le Arpie,le Erinni (punitrici dei torti umani e conservatrici dell'ordine sociale) e le Nereidi (50 ninfe marine,interpretate da Graves come un collegio di sacerdotesse dedite al culto della Luna);esse hanno infatti tutte in comune i nonni ovvero il Ponto (mare) e la Madre Terra.
Un tempo le Gorgoni erano bellissime,poi Medusa si unì a Posidone in un tempio di Atena e questa trasformò lei e le sue sorelle in mostri dai capelli di serpente,zanne di cinghiale,unghie di bronzo,ali e il potere di pietrificare gli uomini con lo sguardo.
Quando Teseo con l'aiuto di Atena ed Hermes (i due figli di Zeus incaricati di "sostenere" il nuovo orientamento patriarcale,la figlia del padre ed il dio giovane) riesce ad uccidere Medusa decapitandola da essa nascono Pegaso (il cavallo alato) e Crisaore (che nacque brandendo una spada d'oro - da cui viene il suo nome - e sposò una delle oceanidi),i figli di Posidone.
Il cavalo alato servì a Bellerofonte per uccidere successivamente la Chimera (un mostro con testa di leone,capra e serpente),altro episodio in cui un eroe patriarcale toglie di mezzo una figura terrestre-femminile.
Il sangue di Medusa che sgorgava dal lato destro del collo poteva resuscitare i morti,mentre quello della vena sinistra era velenoso.Inoltre alcune gocce caddero nel deserto e crearono i serpenti velenosi,atre in mare dando origine ai coralli.La testa fu poi presa da Atena e messa sull'egida.
Per portare a termine quest'impresa Perseo si servì di non pochi oggetti magici:i sandali alati di Hermes,l'elmo che rende invisibili di Ade,una bisaccia donatagli dalle ninfe del fiume infernale Stige per racchiudervi la testa,lo scudo di Atena e un falcetto di diamante per decapitare la Gorgone.
Secondo Graves le Gorgoni avevano quest'aspetto repellene ed erano poste a volte sui frontoni dei templi per mettere in guardia i non addetti ai misteri,per spaventarli e respingerli.
Medusa viene dal libico e significa sovrana, in sanscrito Medha, in greco Metis, in egizio Met o Maat. In Libia venne adorata dalle amazzoni come Dea-Serpente. Medusa (Metis) era di aspetto terrificante di triplice dea, chiamata anche Neith, Anath, Athene.
Sempre secondo Graves i panettieri greci solevano dipingere maschere gorgoniche sui loro forni per prevenire i curiosi dall'aprire lo sportello, perchè la corrente d'aria fredda avrebbe mandato a male il pane. 

sabato 1 ottobre 2011

Ted Shawn-Cosmic dance-



Ted Shawn (1891-1972) ha studiato danza come reazione ad una difterite, che lo ha lasciato temporaneamente paralizzato, contratta mentre era studente di teologia presso l'Università di Denver. Ha iniziato la sua carriera a Los Angeles, godendo di un moderato successo, che lo portò a ballare anche per un film di Thomas Edison, quando aveva appena 20 anni. Fama e fortuna arrivarono nel 1914 dopo essersi trasferito a New York e aver formato una compagnia con la leggendaria danzatrice Ruth St. Denis.
In quegli anni, la maggior parte degli americani associavano le parole "ballerino o ballerina" a "prostituta". Stima che non è migliorata nonostante la radicale riforma del ballo operata da un personaggio del calibro di Isadora Duncan, i cui numerosi matrimoni e figli illegittimi erano malvisti dalla morale dominante. Ruth e Ted non formarono solo una compagnia in comune, chiamata "Denishawn", ma si sposarono anche, nel 1914. Il fatto ebbe rilevanza notevole e permise ai due di crearsi una rispettabilità unita ad un aumento di iscritti alla loro scuola. Agnes de Mille, ballerina-coreografa e nipote del celebre regista Cecil B. DeMille, una volta disse: "I genitori possono mandare i loro figli alla "Denishawn" in tutta tranquillità perché Ruth e Ted sono persone rispettabili, molto rare, e sono sposati..." Rispettabilità giocata solo in pubblico poiché la coppia entrò presto in crisi a causa di un comune amore: l'impresario Fred Beckman, amante di entrambi. Nel 28 la coppia si separa, dopo aver tuttavia inciso profondamente sullo sviluppo della danza moderna, formando generazioni di ballerini e coreografi.
Shawn nel 1930 inizia ad insegnare danza allo Springfield College per un corpo di ballo composto da soli studenti maschi, futuri insegnanti di educazio ne fisica. Nacque il primo corpo di ballo diretto da Shawn, il "Repertory Theatre di Boston" a cui si unirono anche ex ballerini della scuola "Danishawn", tra i quali spiccava Barton Mumaw, amante di Shawn stesso. I due concepirono anche un progetto piuttosto azzardato per l'epoca: un corpo di ballo esclusivamente maschile senza più neanche la scusa di dover formare insegnanti di educazione fisica, ma esclusivamente artisti, ballerini che celebravano con le loro opere la bellezza del corpo. Iniziarono a venir pubblicati articoli piuttosto pruriginosi, sulla vita privata dei ballerini di Shawn, il quale rispondeva che ognuno di essi aveva una propria camera personale durante le tournè. Sottolineature ridicole, ma necessarie per salvaguardare la compagnia da accuse che non vennero mai formalizzate, ma molto spesse erano chiamate in causa, tra le righe degli articoli citati, in maniera allusiva e provocatoria. A completare le campagne di promozione di una certa "salute" dei suoi ballerini, Shawn diffuse fotografie in cui erano impegnati in esercizi fisici ed esibizioni di forza. Il tutto per rispedire spesso al mittente critiche di effeminatezza. Al contrario Shawn stesso non disdegnava parti en travesti, arrivando ad esibirsi con abiti femminili in più di un balletto, riportando alla ribalta il termine di "female impersonator". den_1258vu_fullL'influentissimo critico John Martin ne darà lo dipingerà così: "Obiettivo fondamentale della sua ricerca fu (...) lo sviluppo della danza maschile. Nell'esigenza di restituire alla danza quella forza virile che aveva scoperto come componente essenziale delle danze popolari e primitive (una componenete che, nella fase di decadenza del balletto, si era totalmente spenta per far posto al lezioso protagonismo femminile della ballerina romantica), Ted Shawn si applicò allo studio delle differenze tra movimenti maschili e femminili, elaborando una concezione sulle caratteristiche peculiari ai due tipi di movimento". In tal modo "restituì al danzatore una sua funzione espressiva autonoma,senza limitarne le capacità tecnico - espressive a quelle imposte dal ruolo tradizionale di 'porteur' della ballerina". Balletti come Kinetic Molpai e Dance of the ages, riservati agli uomini, rispecchiano questo atteggiamento. TShawnAuntieMame Ebbe peraltro il merito (in opere come The feather of the dawn [1924], una danza degli indiani Hopi, in duetto con Louise Brooks) di risvegliare l'interesse verso le espressioni artistiche dei nativi americani, corroborando tali recuperi col parallelo uso di accurati scenografie, e costumi, tipici di quei popoli. Inoltre ebbe grande rilievo come riordinatore delle teorie sulla mimica di François Delsarte (1811 - 1871); quei pensieri, originariamente concepiti per il teatro, furono da Shawn inquadrati nell'ottica della danza moderna in Every little movement. Il Jacob's Pillow Festivals fondato da Shawn è ancora oggi una realtà molto attiva nella formazione didattica e nella promozione della cultura della danza moderna e contemporanea, con la sua bella sede immersa nella natura nello stato di New York.(fonte wikipedia)

Doris Humprhey-l'arte come rivelazione della vita-


Doris Humprey (1895- 1958) basò la sua tecnica sull’osservazione del corpo in movimento, visto nella sua continua dialettica tra stato di equilibrio e disequilibrio, tra caduta e recupero e sull’oscillare da una parte all’altra. Ad una totale padronanza della danza classica, completa la sua formazione maturando una consistente esperienza nella compagnia della St Denis, giungendo così ad elaborare una sua propria concezione del movimento. Convinta che l’arte sia una continua ed incessante rivelazione della vita, si domanda quali siano le motivazioni profonde che muovono l’azione ed il comportamento dell’uomo nel suo ambiente. Scrive: “se noi comprendiamo i vari modi in cui la forza agisce nei nostri corpi e le varie sequenze che questa mette in moto, sappiamo qualcosa su noi stessi, perché noi tutti, come organismo, seguiamo le stesse leggi… La storia della mia tecnica è molto semplice. Sono risalita al corpo e alla sua inclinazione per il movimento, e ho cercato di separarlo da ogni sorta di reazione emotiva – cosa farà il corpo abbandonato a se stesso? Che attitudine ha all’equilibrio? Cosa succede quando si muove? Come si sposta per mantenere l’equilibrio? … il desiderio di muoversi spinge la materia organica a uscire dal suo centro di equilibrio. Ma il desiderio di conservare la vita induce a un ritorno all’equilibrio o a un altro spostamento di materia sufficiente a bilanciare il primo, e così a salvare l’organismo dalla distruzione. …. Quindi, il ritmo risulta dalle oscillazioni della materia organica che si allontana e si avvicina al suo punto di equilibrio. Alla fine di entrambi i movimenti c’è morte – la morte statica o equilibrio costante, o la morte dinamica in un movimento troppo spinto, lontano dall’equilibrio”. Il movimento che si crea tra queste due morti rappresenta simbolicamente la lotta dell’uomo per la sopravvivenza: l’essenza del movimento è rappresentata dalla dialettica “caduta e recupero” che la Humphrey legge non solo come vitale per il corpo fisico, bensì come di grande rilevanza psicologica per le implicazioni che comporta. (fonte ass. Dyanha)

mercoledì 28 settembre 2011

Ruth St. Denis



Ruth St. Denis, pioniera della danza libera americana, vive se stessa come “un ritmico e impersonale strumento di rivelazione spirituale”: “il corpo si fa specchio dell’anima”, “strumento di comunicazione totale e profonda col divino, secondo quanto già Delsarte predicava, concependo l’arte e la preghiera come due aspetti di un’unica realtà.” Scrive la St. Denis: “La Danza è moto, che è vita, bellezza, che è amore, proporzione, che è forza. Danzare è vivere la vita nelle sue vibrazioni più sottili e più elevate, vivere in armonia, purezza, controllo. Danzare è sentire se stessi come parte del mondo cosmico, radicati nella realtà interiore dello spirito. La rivelazione della bellezza spirituale in termini di movimento è la progressione naturale e inevitabile della vita e dell’arte, e la parola Danzatore dovrebbe correttamente significare colui che esprime col gesto corporeo la gioia e la potenza del proprio essere.” Nel 1913 la St Denis incontra Ted Shawn, con il quale inizia un stretta collaborazione che li porta a fondare la Denishawn, scuola laboratorio per l’educazione al movimento e alla danza e nel contempo compagnia di danza moderna. Alla fine della guerra, la St Denis si dedica alla all’elaborazione di un sistema da ,lei chiamato Music Visualisation, definito dalla sua creatrice “la traslazione scientifica in azioni corporee del ritmo, della melodia e delle strutture della composizione musicale, senza intenzioni interpretative e rivelazione di nascosti significati da parte del danzatore.” L’attenzione capillare ad ogni elemento musicale la porta verso un tipo di danza più astratta e più connotata tecnicamente. Ted Shawn, ritenuto invece il vero “motore teorico” della scuola, crede nella danza come espressione universale del sentimento religioso dell’uomo. Tecniche e stili non sono rifiutate a priori, bensì devono essere utilizzate per formare in modo completo il danzatore, per affinare sempre più la sua sensibilità e rendere personale quanto acquisito. Partendo da elementi tecnici e formali tratti da Delsarte, Shawn ritiene che l’uomo è una realtà unitaria nelle sue manifestazioni espressive e il movimento un linguaggio primario e universale. Fissa i cosiddetti Foundamentals of Movements partendo dalle tripartizioni di Delsarte (intelletto, anima, vita; testa/collo, torso, addome/fianchi; parallelismo, opposizione, successione; ecc.) e dalle nove leggi della teoria dell’espressione. Decisive per gli sviluppi della danza moderna, saranno le “opposizioni”, dalle quali abbiamo i movimenti di shaking e di vibrating, scuotimento e vibrazione, efficaci per la comunicazioni di forti emozioni, e le “successioni”, movimenti strutturali della coreografia come la caduta ed il sollevamento, l’apertura e la chiusura, ecc. Inoltre, individua una serie di passi, posture, gesti strettamente connessi ad un’esperienza particolare che si traduce in spazio, ritmo e tempo. In questo modo, supera la visione della danza come portato emozionale di una concreta esperienza e di un vissuto effettivo, ponendo l’accento sulla natura simbolica del movimento. Riprendendo l’universo ideale di Delsarte, tenta di riportare l’espressione corporea alla sua origine divina dichiarandone anche la matrice archetipica.(a cura dell'ass.Dhyana)

lunedì 26 settembre 2011

Grotta dei Cervi-Dio che balla



La Grotta dei Cervi è una grotta naturale costiera, sita lungo il litorale salentino in località Porto Badisco.
È stata scoperta il 1º febbraio del 1970 da cinque membri del Gruppo Speleologico Salentino "P. de Lorentiis" di Maglie -Lecce-(I.Mattioli, S.Albertini, R.Mazzotta, E.Evangelisti e D.Rizzo) ed è il complesso pittorico neolitico più imponente d'Europa. In un primo momento le si diede il nome di “Antro di Enea”, per via della leggenda secondo la quale Enea sbarcò in Italia proprio a Porto Badisco. Il nome attuale deriva dalle successive scoperte dei pittogrammi.
Si suddivide in tre ampi corridoi percorsi da pitture scoperte al loro interno. • Il I corridoio è lungo circa 200 metri, ed a un certo punto si sdoppia in due rami uno in direzione nord alla fine del quale furono ritrovato due scheletri, e l’altro in direzione sud-est. • Il II corridoio è ricco di pitture, e anch’esso è lungo 200 metri e vi si accede da un cunicolo passante dal I corridoio. Questo corridoio verso la fine si allarga dando accesso a due sale successive. Verso la metà il percorso si interrompe e vi è la presenza di un laghetto naturale formatosi dalle acque di stillicidio, e successivamente vi è la presenza di un deposito di guano adoperato dall’uomo neolitico per dipingere. • Il III corridoio è lungo anch’esso 200 metri e al suo interno vi si accede dal II corridoio attraverso un’apertura molto bassa. Per accedere all’interno del complesso sono presenti due ingressi: • Uno OCCIDENTALE, che si immette solo nel primo corridoio; • Uno ORIENTALE, che da accesso a tutti e tre i corridoi. Vi è inoltre la presenza di un cunicolo che da accesso ai corridoi, ed è stato prontamente scavato e rinforzato lungo le pareti da muretti a secco, da parte dell’uomo neolitico.

I pittogrammi, in guano di pipistrello e ocra rossa, raffigurano forme geometriche, umane e animali, che risalgono all'epoca neolitica, tra il 4.000 ed il 3.000 a.C.
Le figure rappresentano cacciatori, animali (cani, cavalli, cervi), oggetti, simboli magici, geometrie stratte e molte scene di caccia ai cervi (da cui il nome della grotta). Uno dei pittogrammi più famosi è il cosiddetto Dio che balla, che raffigura uno stregone danzante.(fonte wikipedia)

domenica 25 settembre 2011

Pina Bausch-Tanztheater



È difficile immaginare cosa sarebbe il teatro della danza dell'ultimo quarto di secolo senza la paradigmatica esperienza e creatività di Pina Bausch. Questa coreografa dall'inconfondibile silhouette nera e dall'effigie esangue, sofferente, come in preda all'imminente consunzione ma in realtà da anni potente e energica capofila del genereteatrodanza (o Tanztheater), è riuscita a modificare gli orizzonti culturali ed estetici della danza del nostro tempo, guadagnandosi non solo una schiera di imitatori ma anche un pubblico insospettabile: forse il pubblico più largo e nuovo che qualsiasi altro coreografo di oggi abbia attirato a sé. Complice del suo successo, almeno in Italia, è proprio il termine Tanztheater da lei adottato per definire il suo teatro della danza, o 'della vita' e 'dell'esperienza': in realtà un termine d'uso, strettamente correlato a un preciso progetto artistico comune a un'intera generazione di creatori e coreografi tedeschi come lei ingaggiati, già negli anni Settanta, all'interno di grandi strutture e teatri d'opera della Germania. Per segnalare che la loro produzione artistica non avrebbe più avuto alcuna attinenza con il balletto o la danza moderna, precedentemente accolti in quegli stessi teatri, essi preferirono chiamare le loro compagnie, nonché definire la loro stessa produzione, Tanztheater. Nella lingua tedesca questo vocabolo composto significa semplicemente teatro della danza, ma in molti paesi di lingua non tedesca, come appunto l'Italia, esso ha dato adito alle più diverse e spesso improprie traduzioni/interpretazioni. Tanto è vero che la tentazione di inscrivere la geniale Bausch nell'alveo dei registi teatrali, sminuendo così sia la sua formazione strettamente coreutica che quella dei suoi interpreti-ballerini, ha provocato non pochi equivoci nell'iniziale esegesi del suo teatro, almeno sino a quando la sua evidenza danzante e le recise affermazioni della stessa B., che tante volte ha dato di sé persino la definizione di `compositrice di danza', per rimarcare l'importanza della musica e dell'ispirazione musicale nelle sue opere, hanno finito per convincere anche i più increduli della natura eminentemente coreografica, anche nell'uso del gesto teatrale e della parola, del suo 'teatro totale'.
L'immagine dell'adolescente e timidissima Pina che trascorre i suoi giorni sotto i tavoli del ristorante del padre e ne osserva, in desolata solitudine, gli avventori (un flash che servirà poi per ricondurre a memorie personali il suo indiscutibile capolavoro del 1978: Café Müller) è la prima di un'agiografia che contempla pure lo sconforto della ballerina in erba dai piedi troppo lunghi (a dodici anni calzava già il 41) per calzare le scarpette a punta. Ma prima di entrare, quindicenne, alla Folkwang Hochschule di Essen, diretta da Kurt Jooss, allievo e divulgatore delle teorie e dell'estetica dell'Ausdruckstanz (danza espressionista) promulgata da Rudolf von Laban, la B. non aveva mai frequentato veri corsi di balletto o di danza; compariva assiduamente, però, nel teatro della sua città e ben presto ne divenne una comparsa, utilizzata in operette e piccoli ruoli e anche in serate di balletto. A Essen, dove ha la fortuna di studiare proprio con Jooss, si diploma nel 1959 e ottiene una borsa di studio dal Deutscher Akademischer Austauschdienst (l'Organizzazione tedesca per i programmi di scambio accademico) che le consente di perfezionarsi negli Usa. A New York è `special student' alla Julliard School of Music, dove studia, tra gli altri, con Antony Tudor, José Limón, Louis Horst e Paul Taylor; contemporaneamente entra a far parte della Dance Company Paul Sanasardo e Donya Feuer, creata nel 1957. Viene quindi scritturata dal New American Ballet e dal Metropolitan Opera Ballet diretto da Tudor. Nel 1962 Jooss la invita a tornare in Germania e a diventare ballerina solista nel suo ricostruito Folkwang Ballet. Dopo l'elettrizzante esperienza americana, il nuovo impatto con la realtà tedesca è deludente. Il lavoro dei danzatori non è così approfondito e severo come a New York: la B. cerca partner infaticabili, che le somiglino, e inizia a collaborare con il danzatore e futuro maestro Jean Cébron che sarà suo partner nelle prime esibizioni italiane (al festival dei Due Mondi di Spoleto del 1967 e del '69). Dal 1968 diviene coreografa del Folkwang Ballet e nell'anno successivo ne assume l'incarico di direttrice. Risale a quel periodo anche la creazione di Im Wind der Zeit (1969) che le vale il primo premio al Concorso di composizione coreografica di Colonia, seguito, tra gli altri lavori dell'epoca, da Aktionen fur Taumnzer (1971) e da Venusberg per il 'Baccanale' del Tannhauser di Wagner (1972). Nel 1973, su invito del sovrintendente Arno Wüstenhöfer, accetta la direzione della Compagnia di balletto di Wuppertal, ben presto ribattezzata Wuppertaler Tanztheater: i suoi primi collaboratori sono lo scenografo Rolf Borzik, scomparso nel 1980, e i danzatori Dominique Mercy, Ian Minarik e Malou Airaudo.
Nel 1974 crea la pièce Fritz (su musiche di Mahler e Hufschmidt), l'opera-ballo Iphigenie auf Tauris(riallestito nel 1991 all'Opéra di Parigi), la rivista Zwei Krawatten, il balletto su musiche da ballo e canzoni del passato Ich bring dich um die Ecke e Adagio-Fünf Lieder von Gustav Mahler : una danza sui Liedermahleriani. Il 1975 è l'anno della realizzazione scenico-coreografica di Orpheus und Eurydike di Gluck, ricomposto nel 1992 e ammirato anche in Italia (Teatro Carlo Felice, 1994), e dell'importante trittico stravinskiano Frühlingsopfer (Wind von West, Der zweite Frühling e Le sacre du printemps ), seguito dalla prima svolta nella carriera dell'artista che coincide con un progressivo allontanamento dalle forme canoniche della coreografia, ben evidente in opere ormai di rilevante importanza storica, come Die sieben Todsünden su musica di Kurt Weill (1976), Blaubart, Beim Anhören einer Tonbandaufnahme von Béla Bartóks Oper"Herzog Blaubarts Burg", su motivi dell'opera bartókiana Il castello del duca Barbablù , che nel 1998 affronta da regista, su invito di Pierre Boulez. E ancora Komm tanz mit mir (1977), una pièce accompagnata da antiche canzoni popolari, l'operetta Renate wandert aus (1977) e un originale adattamento del Macbeth shakespeariano ( Er nimmt Sie an der Hand und führt Sie in das Schloss, die anderen folgen, 1978). Gli allestimenti successivi al capolavoro Café Müller (quaranta minuti di danza su musica di Henry Purcell, per sei interpreti in tutto, tra cui la stessa coreografa che sino alla fine degli anni Novanta non accetterà più di comparire in scena) tengono conto soprattutto della scoperta del linguaggio, del verbo, della parola e di un'intera gamma di suoni originari, intesi come possibilità di articolazioni animali (ridere, piangere, urlare, sussurrare, tossire, piagnucolare) già sperimentata in Blaulbart : vero spettacolo di riferimento per il passaggio alla sua nuova `drammaturgia totale'. Proprio in questo spettacolo frantumato e elettrizzato dal fruscio delle foglie secche disseminate in scena, la coreografa inizia a mettere a fuoco un nuovo metodo di lavoro. Invece della tradizionale imposizione ai ballerini di movimenti e passi, si propongono dei `questionari' scritti e orali ai quali la risposta potrà essere verbale o corporea. Istigando la sua troupe, la Pina Bausch finisce per sostituire le partiture e i testi drammatici (Stravinskij per il suo madido e furioso Sacre du printemps , Brecht per Die sieben Todsünden , Shakespeare per il già citato Macbeth del 1978, che ha il titolo di una lunga didascalia) con un variegato collage di risposte a domande quali: «Da piccolo avevi paura del buio?», «Cosa fai quando ti piace qualcuno?», «Qual è il tuo maggiore complesso fisico?». Il risultato eclatante della sovvertita pratica coreografica - come dimostra lo spettacolo 1980, Ein Stück von Pina Bausch - non consiste però solo nell'entrata in scena di urla, gesti sonori, canti, parole e musiche di riporto - tutte novità relative nella storia della danza, in specie per il ceppo espressionista, a cui Pina Bausch, con il tramite del suo maestro Jooss, ma anche nella progressiva demolizione del mito e dell'estetica tradizionale del ballerino. Trasformarlo in `persona' che si muove in abiti quotidiani (giacca e pantaloni per i danzatori, sottovesti, ma soprattutto lunghi abiti da sera per le danzatrici) crea uno scandalo negli edulcorati ambienti del balletto europeo e costa a Pina Bausch accuse di volgarità e cattivo gusto germanici, specie da parte della critica americana, sbigottita di fronte al realismo del pianto delle sue danzatrici, e persino accuse di sadismo verso il vissuto interiore degli interpreti.
In Italia, spettacoli degli anni Settanta e Ottanta come Kontakthof del 1978 (incredula e ancora impacciata l'accoglienza al Teatro alla Scala nel 1983), Bandoneon, creato nel 1980, subito dopo un lungo soggiorno in Sud America e Auf dem Gebierge hat Man ein Geschrei gehört (1984) ottengono un riconoscimento ufficiale a Venezia, grazie a un'antologia della Biennale Teatro alla Fenice (1985). Prima di questa importante vetrina solo Café Müller e Keuschheitslegende (1979), entrambi presentati al Teatro Due di Parma nel 1981, con Nelken (1983), allestito nell'anno di nascita al Teatro Malibran di Venezia, avevano turbato, rapito e scosso il pubblico italiano. E mentre alcune opere importanti come Arien (1979) e Walzer(1982) attendono non solo una prima italiana ma di essere riallestite, la coreografa viene consacrata negli anni Novanta un po' ovunque. Nelle sue pièce totali si scopre quanto abbia saputo dolorosamente scavare nella psiche del danzatore, restituendogli una gestualità senza maschere e una padronanza totale della scena. Errate interpretazioni del suo metodo di lavoro, come già si diceva, hanno tentato di accostarla al mondo del teatro di improvvisazione. In realtà, la B. ha sempre utilizzato a sua esclusiva discrezione i materiali espressivi dei ballerini, anche affidando il vissuto di un danzatore a un altro, come se avesse a che fare con semplici passi di danza e non con un frammento di vita: il piglio un poco dittatoriale - in lei sofferto e gentile - è quello tipico di molti coreografi. E coreografa alla potenza si è rivelata nel saper gestire il respiro scenico dell'universo dei suoi interpreti a cui è toccato ricostruire le anomalie del vivere sociale, l'irrisolta battaglia tra i sessi, lo sgretolamento dei valori più saldi della generazione successiva all'Olocausto, in un corollario di vizi e virtù umane del popolo tedesco ma non solo, esposte non senza una potente patina di divertimento e di ironia. Basti pensare alla creazione di quegli assolo, che restano a futura memoria nell'iconografia del suo teatrodanza, in cui l'invenzione gestuale è tanto minima quanto freschissima (in Nelken , Luzt Förster traduce con l'alfabeto dei sordomuti la canzone Someday he'll come along e Anne-Marie Benati se ne sta sola, senza vestiti ma con un paio di mutande bianche e una fisarmonica al collo, nel campo di garofani che accoglie la pièce), o a quei trionfali `passi à la Bausch', ritmati e a larghe volute, con i quali ha tanto spesso spedito (come in 1980 , morbido ma agrodolce party dal sapore hollywoodiano) i suoi fedelissimi tra il pubblico, in una manovra di avvicinamento alla non-fiction sempre più insistita e fisica. Nell'arco creativo che corre da 1980 a Palermo, Palermo , lo spettacolo sontuoso e degradato, allestito nel 1991 sul campo degli scempi siciliani (si assiste al crollo di un muro che inevitabilmente evoca quello di Berlino) la B. ha indubbiamente creato il suo teatrodanza maggiore. E si è concessa poche libertà d'autore: il vezzo molto tedesco di definire Stücke , ossia `pezzi', tutte le sue opere collettive, come schegge romantiche della sua fantasia musicale, e l'altro vezzo del viaggio goethiano, esotico e ricognitore, tuttora inarrestabile. La creazione a getto continuo di scenografie vive e naturali (di Rolf Borzik, prima, e di Peter Pabst, poi) ha contribuito a alimentare la trasognata spettacolarità degli Stücke sempre vestiti della prediletta costumista Marion Cito.
L'acquario con veri pesci fluttuanti e la serra di piante grasse di Two Cigarettes in the Dark (1984), la terra che dall'alto cade nella fossa `romana' di Viktor , lo spettacolo creato nel 1986 e dedicato alla città caput mundi ; il deserto punteggiato di grandi tronchi spinosi e ingombranti di Ahnen (1987) come l'acqua che ostacolava le disperate corse di Arien e il prato profumato di 1980 , hanno di volta in volta preservato la sua inventiva dal pericolo di reiterare la formula-cliché deflagrata e a frammenti del suo teatrodanza. Nello spettacolo Danzon (1996) la scena proiettata e a `cartoline illustrate' di Peter Pabst indica un momentaneo allontanamento dagli elementi vivi della natura a lei cara: tra pesci tropicali che scorrono in immagini filmiche torna a danzare, con le sue braccia morbide e tormentate, la stessa B., sublime e decorativa mentre saluta il pubblico alzando una mano. Due episodi cinematografici, come la partecipazione, nei panni di una contessa non vedente nel film E la nave va di Federico Fellini e la confezione del lungometraggio Die Klage der Kaiserin (1989), in cui l'influenza felliniana e l'impianto visionario non giungono però a comporsi in un ritmo narrativo efficace e serrato, non la distolgono dal proseguire il suo viaggio goethiano alla scoperta di paesi e città del mondo. Dopo Roma e Palermo, le nuove tappe sono Madrid ( Tanzabend II , 1991), Vienna, Los Angeles, Hong Kong, Lisbona. Nascono il californiano Nur Du(1996), il cinese Der Fensterputzer (1997), concepito nel momento della cessione di Hong Kong alla Cina e il portoghese Masurca Fogo (1998): tre spettacoli 'leggeri', più corti e rapidi di quelli storici degli anni Ottanta (spesso condotti oltre il limite delle tre ore), con ritmi incalzanti e musiche a collage, sempre festose. La nuova risorsa della coreografa di Wuppertal è infatti la riscoperta della danza pura - il tango diNur Du , il folklore rivisitato di Danzon, le ammalianti passerelle di Masurca Fogo - nell'utilizzo di danzatori sempre nuovi ai quali sembra però assai più difficile poter sottoporre i `questionari' del suo metodo, così adatto a generazioni di ballerini a lei coetanei ma forse sprecato per le generazioni danzanti telematiche e cibernetiche, alle quali non a caso assegna sempre più spesso ruoli muti e di puro movimento nel confronto ancora strettissimo con i grandi e riconoscibili interpreti del Wuppertaler Tanztheater che non l'hanno abbandonata (oltre a Minarik e a Mercy, l'attrice Mechthild Grossmann).
Nato negli anni Settanta, come il cinema neorealista a cui fu strettamente legato, sullo sfondo di una cultura tedesca disposta a mettersi in crisi, il teatrodanza di Pina Bausch si deve considerare un edificio storico che funge da spartiacque: esiste infatti un teatrodanza precedente alla B. e di origine tedesca, che non ha mai ottenuto il successo e il riconoscimento di quello bausciano, mentre la coreografa ha fatto tesoro sia dell'insegnamento di Jooss che di quello di Tudor (il maestro del balletto psicologico ), andando a influenzare le arti limitrofe, come il teatro a cui ha svelato la portata dell'eredità di danza e balletto, nel segno di un neo-espressionismo che non ha certo esaurito la sua funzione estetico-artistica-sociale, anche se fatica a superare le modalità compositive spledidamente cristallizzate dalla coreografa. Esemplare resta il suo lascito coreutico in opere come Le sacre du printemps e Café Müller , in cui la tecnica coniuga i fondamenti della danza libera nell'utilizzo espressivo soprattutto degli arti superiori. Nel teatrodanza della B. il corpo del danzatore necessita di una formazione accademica - frequente l'uso di figure tipiche del balletto ( arabesque, attitude ) e di pirouettes - anche se nel suo irrinunciabile avvicinamento alla vita la coreografa rompe continuamente la prigionia dei codici o vi fa ritorno per paradosso, in episodi, spesso ironici, di riflessione sulla danza stessa e sulla fatica di danzare, che costituiscono uno dei leitmotive non secondari della sua coreografia 'totale'. (fonte myword.it)


Musica e stati alterati di coscienza


Musica e stati alterati di coscienza: una questione ancora aperta
Seminario internazionale di studi - Fondazione Cini - Venezia - 24 - 26 gennaio 2002

Un'associazione sistematica tra musica e stati transitori di alterazione delle attività psichiche (trance, estasi, sdoppiamento o sovrapposizione di personalità, visione, 'viaggio' mistico, ecc.) è riscontrabile alle più diverse latitudini, nei riti a sfondo terapeutico e religioso di molte culture e società tradizionali. Essa costituisce tuttora un tratto caratteristico dei cosiddetti culti di possessione africani e mediterranei, dello sciamanismo euroasiatico e amerindiano, delle pratiche devozionali della mistica islamica e anche di alcuni nuovi riti cristiani.

Già rilevata da Platone e Aristotele, questa singolare relazione fra musica e stati non ordinari di coscienza è divenuta oggetto di particolare attenzione soprattutto a partire dalla seconda metà del secolo scorso, a seguito di approfonditi studi antropologici e storico-religiosi sulle tecniche e le religioni "estatiche" (Eliade, Bastide, Lewis ecc.), suscitando anche un certo interesse di massa grazie alla particolare diffusione di alcune ricerche, come quelle di De Martino (e Carpitella) sul tarantismo pugliese o di Métraux sul voduhaitiano.
Sui cosiddetti ASC (Altered States of Consciousness) e le varie relative "tecniche del sacro" si è sviluppato un acceso dibattito anche in ambiti neurofisologici, psicoantropologici ed etnopsichiatrici (Neher, Ludwig, Tart, Prince, Bourguignon, Zémpleni, ecc.), mentre sulla questione più specifica delle potenzialità della musica nell'induzione di condizioni estatiche o di trance fondamentale si è rivelato il contributo dell'etnomusicologia; in particolare, il noto saggio di Gilbert Rouget su "Musica e trance" (1980) ha proposto una classificazione dei vari fenomeni avanzando precise ipotesi sui rispettivi ruoli che musica, danza, rito e finalità terapeutiche giocano nello "strano meccanismo" dei riti di possessione.

Per alcuni anni, anche a seguito dello studio di Rouget, la discussione scientifica sui rapporti fra musica e stati non ordinari di coscienza è stata molto vivace e ricca di contributi, ma nell'ultimo decennio il dibattito si è progressivamente attenuato, lasciando aperti non pochi interrogativi circa l'effettivo "potere" - puramente emozionale e comunicativo o anche psicofisiologico - della musica all'interno dei vari dispositivi terapeutici e religiosi tradizionali.

Paradossalmente, però, le questioni sollevate si sono riverberate al di fuori degli ambiti scientifici, favorendo indirettamente un proliferare di nuovi fenomeni: dallo sviluppo di particolari tecniche terapeutiche con musica, quali ad esempio la "respirazione olotropica" sperimentata a partire dagli anni '70 dal medico praghese Stanislav Grof in California, a un interesse crescente delle nuove generazioni occidentali per alcune pratiche coreutico-musicali tradizionalmente connesse alla trance o all'estaso, come ad esempio quelle dei rituali gnawa del Marocco, dei dervisci Mevlevi turchi o del tarantismo pugliese, attualmente oggetto in Salento di un singolare quanto problematico revival .

sabato 24 settembre 2011

Loie Fuller


Originale danzatrice e abile coreografa, Loie Fuller attraversò agli inizi del Novecento i palchi dei teatri d'Europa e Stati Uniti, ma fu anche sovente d'ispirazione per gli artisti Art Nouveau che la ritrassero e ai quali fu, successivamente, accostata dalla critica. Le chiavi del suo successo furono estemporanee creazioni dipinte con la danza nello spazio della scenza teatrale: infinita gamma di fiori e farfalle vorticanti nell'aria, create attraverso il movimento repentino del corpo, avvolto in leggeri veli di seta.

Louise (Loie, secondo il nome d’arte) Fuller nacque negli Stati Uniti nel 1862, a Fullersburg, nell’Illinois; fino ai trent’anni il suo nome rimase pressocchè legato, nel mondo dello spettacolo, a piccoli esibizioni in qualità di attrice e, poi, di direttrice di una piccola compagnia di vaudeville, esibendosi, di tanto, anche in performance di ballo, delle cui conoscenze tecniche non fu però mai realmente dotata, se non a livelli assai modesti. Fu proprio la danza, tuttavia, a renderla nota al grande pubblico e fino a noi.
Sfruttando, infatti, le proprie conoscenze di illuminotecnica maturate nel corso degli anni e avvalendosi, nondimeno, di quel gusto dell’improvvisazione e dell’estemporaneità dello spettacolo che condivideva con i piccoli artisti di palcoscenico, nel 1890 la piccola Loie iniziò ad esibirsi in danze caratterizzate da ampi veli di seta che avvolgevano il suo corpo e che erano, a loro volta, colorati da riflettori puntati sulla scena: uno spettacolo che andò via via perfezionandosi in forme più complessse, fino al suggestivo spettacolo “Le Feu” (”Il Fuoco”), dove apparve al pubblico avvolta nell’oscurità, dipinta con colori fluorescenti ed illuminata dal basso attraverso lastre di vetro trasperenti.
Il segreto della Fuller consistette, più che nell’abilità di ballerina vera e propria, nel far muovere bacchette invisibili sotto gli ampi drappeggi che l’avvolgevano e nel mutare continuo della luce proiettata sulle forme impresse al suo corpo dal movimento dei veli, ottenendo, così, una ricchissima serie di forme e colori cangianti.
Sull’onda del successo per la sua originale danza, Fuller si emancipò dalla dimensione dei piccoli spettacoli locali, realizzando tournè sia nel Nuovo che nel Vecchio Continente; in Francia fu inizialmente scritturata dalla Folies-Bergére ma, successivamente, aprì anche una propria compagnia e gruppo di ballo, alternando il proprio posto sul palco alla direzione stessa degli spettacoli.
Ricchissima fu l’iconografia a lei dedicata. La sua presenza si divise fra opere grafiche e scultoree: dalle locandine del Folies-Bergére, come quella creata da Jules Cheret, ai dipinti e disegni degli artisti Art Nouveau / Jugendstill, come H. de Toulouse-Lautrec e K. Moser, e le lampade di R. F. Larche. Una serie assai ampia, dunque, paragonabile a quella di altre stelle dello spettacolo del Primo Novecento come Sarah Bernhardt, Eleonora Duse o Isadora Duncan, ma segno anche di una vicinanza d’intenti con gli artisti di tali movimenti artistici.

Assai discussa fu anche la sua vita privata; faceva notizia la compagnia delle ballerine-amanti del suo corpo di ballo, che la circondavano come una regina. Il suo lesbismo non fu, del resto, mai nascosto.
Approdata alla danza relativamente tardi, la carriera di Loie Fuller durò quasi un ventennio, comparendo, negli ultimi anni di vita, sempre più di rado sui palchi. Morì, a seguito di una grave polmonite, nel 1928.

Metodo Martha Graham



A differenza della prima generazione di danzatori moderni americani (in primis Isadora Duncan, ma non meno importanti Ruth St. Danis, Ted Shawn e Maud Allan), che si erano battuti per rinnovamento della danza focalizzando i loro sforzi nell’individuazione dell’impulso spirituale alla base del movimento, Martha Graham e gli altri esponenti della seconda generazione della modern dance (Doris Humphrey, Charles Weidman e Hanya Holm) si concentrarono piuttosto sull’impulso fisiologico, sulle motivazioni interiori del corpo e sulla creazione di un nuovo vocabolario espressivo che non fosse mirato a “creare” ma a “riscoprire” quello che il corpo naturalmente poteva fare.
Rompendo i rigorosi schemi della tradizione accademica, attraverso movimenti sciolti e convulsi, il corpo poteva finalmente esprimersi liberamente, spezzando i vincoli concettuali di una società univocamente fondata sulla verbalità o sul rigore del balletto classico che costringeva i ballerini ad adattarsi a rigidi schemi e posture.
“La mia danza con il mio corpo” significava non più imporre ai ballerini l’adattamento forzato della propria fisionomia a posture rigide, ma, al contrario, adeguare la nuova tecnica, basata sul movimento libero, alla conformazione fisica e alle caratteristiche del corpo dei singoli danzatori.
La danza così, attraverso il suo metodo, si trasforma in una vera e propria arte corporea che si distacca dalla lunga tradizione accademica del balletto classico, da sempre subordinato alla musica e al testo e, in tal modo, diviene la sola espressione artistica in grado di recuperare la dimensione originaria della natura e dell’esistenza umana, attraverso cui l’uomo può esprimere le sue emozioni, liberando il corpo dai vincoli e dai tabù che la società ha generato nei secoli e che inevitabilmente si sono accompagnati al processo di civilizzazione dell’umanità.
La sua ricerca si muove in direzione di un’evoluzione del corpo da una dimensione strettamente individuale a strumento in grado di rendere visibile ed oggettivo il sentire collettivo, ripercorrendo le tracce della memoria dell’umanità intera:
«La cosa più importante, qui, come sempre, è l’assoluta unicità dell’individuo; se tale unicità non si realizza, qualcosa va perduto […] l’ineluttabile necessità di esprimersi è tutto […] a questo punto il flusso della vita raggiunge l’artista e, mentre l’individuo acquista grandezza, quanto vi è di personale si fa sempre meno personale […] Per tutti noi, ma in particolare per un danzatore, data l’intensità con cui percepisce la vita e il proprio corpo, vi è una memoria del sangue che ci parla. … In noi scorre un sangue millenario, con i suoi ricordi. Come spiegare altrimenti quei gesti e pensieri istintivi che ci giungono non preparati né attesi? Forse provengono da qualche remoto ricordo di un’epoca in cui regnava il caos, un tempo in cui, come dice la Bibbia, il mondo non era. Poi, come se lentamente si fosse aperta una porta, la luce fu. Rivelò cose meravigliose, rivelò cose terrificanti, ma luce fu […]».
Per Martha Graham, la danza, infatti «viene dalle profondità della natura dell’uomo, dall’inconscio dove abita la memoria … ed è diretta verso l’esperienza dell’uomo, dello spettatore, per risvegliare in lui analogie e ricordi»; in questo senso è evocatrice dell’essenza dell’uomo.
La tecnica Graham è basata essenzialmente sulla respirazione, sul movimento istintivo dei danzatori e sul rapporto con il suolo, al fine di ritrovare un contatto più profondo e immediato con la terra, esplorata a piedi nudi o con tutto il corpo, espressione di un simbolico nesso con il terreno.
L’uso del tallone, fondamentale per definirsi nello spazio, acquista un rilievo nuovo rispetto a quanto si verifica nel balletto classico, in cui il tallone ha la tendenza a sollevarsi da terra. La costante relazione con il suolo definisce una ripresa di contatto con le forze naturali e concrete, in contrapposizione con il librarsi etereo del balletto classico. I ritmi saltellati con battute a terra dei piedi delle danze rituali degli Indios d’America furono uno dei modelli cui si ispirò la Graham.
Partendo dalla sua personale interpretazione del principio di tensione e rilassamento di François Delsarte, Martha Graham identificò un metodo basato sulla respirazione e sul controllo dell’impulso da lei definito contraction and release, movimento di opposizione di due forze contrarie e complementari che segna il flusso della respirazione, come momento di massima concentrazione dell’energia vitale.
Secondo questo metodo il movimento si origina nella tensione di un muscolo contratto e continua nel flusso di energia rilasciato dal corpo nel momento in cui il muscolo si rilassa. Tale pratica di controllo muscolare conferisce ai danzatori movimenti angolari, secchi e netti che erano molto poco familiari al pubblico dell’epoca abituato ai movimenti morbidi e lirici di danzatrici quali Isadora Duncan e Ruth St. Denis e nelle prime recensioni il metodo Graham fu molto criticato. Solo successivamente fu riconosciuto tutto il suo genio creativo.
Rendere espressiva ogni minima parte del corpo era l’intento di Martha Graham nel definire la sua tecnica e il suo stile. Il danzatore deve essere interamente coinvolto nel movimento; le braccia, le mani, il busto e la testa devono acquistare un significato, essere elementi presenti, elastici e attivi, facendo sì che lo spettatore recepisca come significante la totalità del corpo che vede danzare.
Oltre all’opposizione contraction-release, la spirale è uno dei movimenti più ricorrenti nello stile Graham; esemplificato da un’immaginaria linea elastica di forza che percorre il corpo come una spirale, così da produrre un movimento di opposizione che coinvolge tutta la superficie del torso, creando una torsione della vita che sia connessa in un tutto con la superficie fisica compresa tra gli estremi del collo e del bacino senza però spostare il peso dal baricentro, in quanto, prendendo spunto dalle culture orientali, proprio la zona addominale è concepita come il centro della vita.
Nel dopoguerra il teatro-danza di Martha Graham si rivolge al mito e alla ricerca di personaggi emblematici che possano esprimere le motivazioni profonde dell’agire umano in determinate situazioni, riconoscendo alla danza ha funzione catartica in grado di offrire allo spettatore una sorta di analisi interiore, capace di rendere visibile inquietudini e sofferenze scaturite dalla Seconda Guerra Mondiale.
La sua ispirazione attinse ad un’infinità di fonti, incluso la pittura moderna, le cerimonie religiose dei Nativi d’America e la mitologia greca. Molti dei suoi ruoli principali si rifanno a grandi figure femminili della storia o della mitologia: Clytemnestra, Giocasta, Medea, Fedra, Emily Dickinson e Giovanna D’Arco a cui è dedicato uno dei suoi capolavori: Seraphic Dialogue (1955).
Come artista, Martha Graham concepiva ogni nuova opera nella sua interezza, danza, costumi e musica. Nei suoi settanta anni di attività, oltre, oltre a Isamu Noguchi e Louis Horst, collaborò con l’attore e regista John Houseman; con gli stilisti Halston, Donna Karan e Calvin Klein e con noti compositori quali Aaron Copland, Samuel Barber, William Schuman, Carlos Surinach, Norman Dello Joio e Gian Carlo Menotti. La sua compagnia fu il terreno di formazione di futuri coreografi, fra cui Merce Cunningham, Paul Taylor e Twyla Tharp ed ospitò étoile quali Margot Fonteyn, Rudolf Nureyev e Mikhail Baryshnikov per cui ella creò molti ruoli.
Creò anche movimenti coreografici per attori e cantanti quali including Bette Davis, Kirk Douglas, Madonna, Liza Minnelli, Gregory Peck, Tony Randall, Anne Jackson e Joanne Woodward, insegnando loro come utilizzare il corpo come strumento espressivo.
Negli anni ‘60 e ‘70 Martha Graham continuò a coreografare (nel 1973 creò Lucifer e The Scarlet Letter per Rudolf Nureyev e Margot Fonteyn), ma furono per lo più anni bui, contrassegnati da depressione e abuso di alcool, a seguito del suo forzato ritiro dalle scene, ne 1969, all’età di 76 anni; decisione molto sofferta, nonostante la sua inevitabilità dettata dai limiti fisici sempre più evidenti nel suo corpo di danzatrice: «L’ultima volta che ho ballato era in Cortege of Eagles [...] non avevo programmato di smettere in quell’occasione. Ma fu una decisione terribile che dovetti prendere».
Nel 1984 fu insignita della Legione d’Onore da parte del governo francese e continuò a creare coreografie fino alla sua morte, avvenuta il 1 aprile 1991, mentre stava lavorando ad un balletto per i Giochi Olimpici di Barcellona.
L’impatto di tutta la sua opera è stata una delle eredità più importanti per gli sviluppi della danza ed il messaggio da lei trasmesso è una lezione di poesia e di vita, oltre che di arte: «Dance is a song of the body. Either of joy or pain. The body is a sacred garment. The body is your instrument in dance, but your art is outside that creature, the body. The body never lies.The body says what words cannot».
In Italia la Tecnica Graham è stata introdotta dal 1972 da Elsa Piperno e Joseph Fontano. 
 (da il Giornale della Danza)